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lunedì 29 febbraio 2016

Entomofobia ovvero come metter su in quattro e quattr’otto una terapia cognitivo-comportamentale do it yourself


È indubbio. In quanto soggetto entomofobico, cou.cou.ja può vantare una onorabile carriera costellata di strepitosi successi a cominciare dal giorno in cui, poco più che cinquenne, comodamente assisa sul sedile posteriore della macchina in corsa sulla via del ritorno, nel ravvisare un apparentemente timido e innocuo ragnetto, proruppe in un lugubre gemito gutturale da corifea navigata che tanto inquietò la materna conducente da portarla ad un passo dal salto di corsia (ciò che, sia detto per inciso, fu rivendicato con uno sganassone mancato e una marcata nota di biasimo espressa a botte di sovracuti spaccatimpani).


Con il trascorrere degli anni lo stimolo fobico non si è esaurito, sebbene diversificati e ricorrenti siano stati i soggetti a incoraggiarne la risposta: api (melissofobia), vespe (spheksofobia), topi (musofobia) e, per rimanere nello specifico ambito entomologico, scarafaggi et similia.


[Piccolo inciso
Che gli intrichi dell’animo umano siano più contorti di un gomitolo di lana su cui un felino danzante si diverta ad esercitare la sua viscerale passione per il tip tap è fatto noto a tutti. In effetti, nel novero delle fobie classificate – ché cou.cou.ja non è certo tipino “tanto per” e quando ci si mette le cose le studia per benino, eh! – si contemplano tipologie se non biasimevoli, per lo meno bislacche: amaxofobia (paura di leggere in macchina), aulofobia (paura dei flauti), autodysomofobia (paura di chi puzza). Solo per rimanere alla lettera A. Ché, se si volesse scorrazzare liberi e felici per tutto l’alfabeto, l’elenco produrrebbe risultati stimolanti e non meno sorprendenti:
1) bromidrosifobia o bromidrofobia: paura degli odori corporei;
2) Coprofobia: paura delle feci;
3) dutchfobia: paura dei tedeschi;
4) gallofobia o galiofobia: paura dei francesi, della cultura francese;
5) japanofobia: paura dei giapponesi;
6) oenofobia: paura dei vini;
7) optofobia: paura di aprire un occhio;
8) papafobia: paura del Papa;
9) peladofobia: paura dei pelati;
10) pentherafobia: paura della suocera;
11) pogonofobia: paura delle barbe;
12) proctofobia: paura dell'intestino retto;
13) sesquipedalofobia: paura delle parole lunghe;
14) syngenesofobia: paura dei parenti;
15) taeniofobia o teniofobia: paura del verme solitario;
16) textofobia: paura di certe stoffe.
Fine del (non troppo piccolo) inciso].


Frapponendosi ormai un bel po’ di primavere dagli anni verdi della giovinezza, cou.cou.ja prende coscienza dello stato lievemente disturbato della sua psiche e corre, almeno in parte, ai ripari.
Il giovane ma promettende terapeuta che alberga negli anfratti scoscesi dell’animo cou.cou.jesco accavalla le gambe con eleganza suggerendo con convincente determinazione un improcrastinabile processo di desensibilizzazione che, consentendo, meglio, favorendo un contatto con la paura fatta oggetto di studio, porti al superamento della stessa. “Per farla breve, – sentenzia egli, sfilando con aria professionale gli stretti occhiali dal naso adunco –, si circondi di insetti, mia cara cou.cou.ja, insetti ovunque, insetti come se piovesse!”. E la sventurata risponde. Nell’unica maniera in cui è in grado di farlo.


Scoprendo poi che, nell’universo (e pazzo) mondo, c’è qualcuno che, di quegli orrendi e schifosissimi animaletti, ne fa oggetti di design e qualcun altro, come malilla (tu quoque!) si diverte a tratteggiarli sulla stoffa ricavandone dei motivi... ok, ammettiamolo! davvero carucci ed eleganti.


Questa sì che è terapia!!



pendenti disegnati a mano cou.cou.mali' capsule collection con castone metallico o base in legno laccato - coleottero imbottito in tela grezza su sfondo in lino nero - book cover nevermore collection - goccia gentile # 1 (cervo volante)

lunedì 18 gennaio 2016

cou.cou.malì: storia di una capsule collection


Malilla è una giovane maker dell’entroterra di un’isola bella e soleggiata.
Cou.cou.ja è una maker un pelino più stagionata dell’entroterra di un’isola bella, soleggiata tanto, tanto ventosa.


Malilla è una fanciulla aggraziata ed equilibrata.
Cou.cou.ja è una (attempata) fanciulla goffa, capace di cadere rovinosamente senza muovere un passo.


Malilla ama le linee semplici ed essenziali.
Cou.cou.ja ama le linee semplici, ma anche quelle complesse, essenziali, ma anche elaborate.

Malilla è black and white e, alle volte sì alle volte no, un tocco di rosso, giusto quel tanto che serve per sorprenderti e non farti mai, proprio mai, abbassare la guardia.
cou.cou.ja è black and white. E rosso. E giallo, e verde, e arancio, e fluo, e righe, e pois, e quadri, e tinte pastello, e...


Malilla è l’infiorescenza della carota selvatica, così silvestre e così delicata, ora distesa verso il cielo a godere del sole che scalda e della pioggia che rinfresca, ora chiusa a palla a beffarsi del vento che soffia, del temporale che imperversa. Malilla è i petali bianco-rosati dei suoi fiori di cui, leggenda vuole, le belle dame della corte inglese di Giacomo I ornavano i loro capi gentili.


Cou.cou.ja, i suoi, di capelli, troppo corti per rivelare l’innata tendenza al crespo e l’indefinito cromatismo, non li orna affatto e non conosce la differenza tra un cactus e una margherita (“carrot flower? ah, sì, il papavero, vero?!”).


Malilla ama cucire.
Cou.cou.ja ama cucire.
Malilla ama le differenze.
Cou.cou.ja ama le differenze.

cou.cou.malì: ecco come nasce una capsule collection.


giovedì 5 novembre 2015

COU.COU.MALI'


C’era una volta una serial killer sartoriale con la mania delle parentesi, che apriva, apriva, apriva, senza mai ricordarsi di chiudere. E questo in ogni ambito possibile e immaginabile: a cominciare dalla matematica – splendido, ma tutt’ora irrisolto mistero che il trascorrere lento e cadenzato degli anni non è servito a disvelare neppure di n’anticchia –, in cui il succedersi di tonde, quadre e graffe, seppure valesse a soddisfare di molto il senso estetico frivolo e vezzoso, varcava i confini della logica sconfinando oltre le mura della retorica. Da qui una verbosità incontrollata fatta di incidentali, subordinate, paratassi, ipotassi, protasi, apodosi, ablativo assoluto e chi più ne ha più ne metta, che da sempre è riuscita a regalare a chi parla tanta gioia quanto grande, immenso, sconfinato è il dolore di chi ascolta.


Se almeno l’infausta abitudine dell’apri-e-non-chiudi si fosse limitata al settore nobilissimo della chiacchiera... e invece no. Eccola là, la serial killer, armata di ago e filo, a tirare fuori dalle matrioske della sartoria un’idea che nasce da un’idea, che nasce da un’idea, che nasce da un’idea, in un indistinto e melmoso magma creativo.


Per farla breve (!), un giorno quella serial killer là incontra una leggiadra fanciulla capace di creare l’incanto dalle cose semplici. La giovine donzella, tra le tante, infinite doti possiede l’arte di segnare la stoffa con tratti essenziali e pure così poetici, che ricordano la magia degli ideogrammi giapponesi.


Le mani ancora lorde dei fili d’imbastitura dell’ultima creazione in stile vintage, la serial killer posa metro e forbici e pensa. Pensa e ripensa. Qualche semplificazione qua, qualche adattamento là, il grembiule diventa gonna, la gonna si adatta ad ogni taglia e misura e, sovrapposta, puta caso, a un leggin fashion assai, diventa, impreziosita da un pattern da paura, un capo così cool, ma così cool che di più non si può. Perché MALILLA ha stoffa da vendere!!!




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